Il primo libro l’ho scritto su una macchina per scrivere meccanica, una di quelle Olivetti che ormai si vedono solo nei film d’essai: avevo otto anni, ma non sono diventato lo scrittore prodigio che speravo.

Anni dopo mi sono preso una laurea in giornalismo e per una decina d’anni ho fatto il redattore, finché alla soglia dei trentacinque, quando mi hanno offerto un contratto a tempo indeterminato pieno di benefits, ho ringraziato e rifiutato, perché ho deciso che a quel sogno – fare lo scrittore a tempo pieno – andava data una vera possibilità. Sono arrivate tre pubblicazioni con Fanucci, ma nessun attestato di “scrittore prodigio”.

Oggi il sogno è ancora work in progress, ma va bene così, perché i sogni servono a questo: a tenerti allenato, a rialzarti quando cadi, a inseguire un obiettivo, a non accontentarti mai.

Nel tempo libero mi guadagno da vivere facendo l’editor e il ghostwriter, in attesa che qualcuno si decida a consegnarmi finalmente l’attestato di “scrittore prodigio (attempato)”.